Portiamo tutti dentro di noi l’infinito potere creativo della vita—forza, saggezza e gioia—anche se è nascosto in profondità, rendendo la vita una sfida. Il fine dell’induismo è portare alla luce questo potere infinito e viverne l’essenza. Cercare la verità non è solo una questione di conoscenza, ma un mezzo per trasformare la propria natura e accedere a questa forza divina.
Lo yoga, che significa unione e disciplina, è il metodo per ottenere tale trasformazione. Sebbene lo yoga fisico abbia ricevuto molta attenzione in Occidente, l’accento qui è posto sullo yoga spirituale, volto a unire lo spirito con il divino nascosto. Questo cammino pratico mira ad aiutare l’individuo a identificarsi con il Brahman, o Dio, e a vivere una vita divina sulla Terra.
L’induismo riconosce che esistono molteplici vie per arrivare a Dio, poiché le persone si avvicinano alla meta da direzioni diverse. I quattro principali tipi di personalità spirituale—riflessivo, emotivo, attivo ed empirico—hanno ciascuno una pratica yoga adatta. Questi percorsi non sono rigidi, poiché ogni persona possiede in qualche misura tutti i tipi, ma generalmente uno è più adatto alle inclinazioni individuali.
Tutti e quattro gli yoga iniziano con principi morali per purificare il sé, poiché una solida base morale è essenziale per la crescita spirituale. Una volta purificato, ogni yoga offre pratiche specifiche adeguate alle diverse tendenze spirituali, tutte orientate verso il medesimo obiettivo: l’unione con il divino.
Jnana Yoga: Il cammino verso Dio attraverso la conoscenza
Lo jnana yoga è il sentiero per coloro che sono attratti dalla riflessione e dall’indagine interiore, mirando all’unione con il divino attraverso l’intuizione trasformativa. Questa conoscenza—simile alla gnosis o sophia dei Greci—non è fattuale, ma intuitiva, e porta il cercatore a identificarsi con il Sé infinito.
Questi aspiranti sono pensatori per i quali le idee sono vive. Anche se spesso sono derisi per avere “la testa tra le nuvole”, essi stanno cercando il Sole di Platone: la verità che dà vita a tutto. L’induismo offre a questi cercatori pratiche che rivelano come la loro vera natura trascenda il sé finito.
Il cammino si articola in tre fasi:
- Apprendimento: Ascoltando insegnanti e testi, il cercatore viene introdotto all’idea che la sua essenza è divina.
- Riflessione: Attraverso la contemplazione, i concetti diventano realizzazione. Anche il linguaggio ne è testimone: dire “il mio corpo” o “la mia mente” implica l’esistenza di un Sé che possiede queste cose, ma non è esse. Anche se il corpo e la personalità cambiano, qualcosa di costante rimane.
- Essere: Con l’intuizione, il cercatore comincia a identificarsi con il Sé profondo, agendo nel mondo ma restando radicato nello Spirito.
Le metafore illuminano il percorso: il Sé è come un attore dietro una maschera, o come un giocatore di scacchi che non si lascia turbare dalle vittorie o sconfitte. Nelle Upanishad, il corpo è un carro, i sensi sono i cavalli, la mente le redini, e il vero Sé è il silenzioso osservatore che guida.
Col tempo, lo yogi coltiva il distacco dall’ego e comincia a osservare la vita da una certa distanza—parlando di sé in terza persona, riconoscendo: “Io sono il Testimone.” Questo cambiamento dissolve le false identificazioni. La conoscenza diventa essere, e si risveglia alla sua natura eterna: Tat Tvam Asi – “Tu sei Quello”.
Bhakti Yoga: Il sentiero dell’amore e della devozione
Sebbene lo yoga della conoscenza (jnana yoga) sia considerato il cammino più breve verso la realizzazione divina, è anche il più esigente. Richiede una combinazione rara di chiarezza intellettuale e intuizione spirituale—qualità che pochi possiedono in egual misura. La maggior parte degli esseri umani, tuttavia, non è guidata principalmente dalla ragione, ma dall’emozione—specialmente dalla potente e universale forza dell’amore. Il bhakti yoga, il sentiero della devozione, canalizza questa energia emotiva verso il divino, rendendolo uno dei percorsi spirituali più accessibili e amati dell’induismo.
Il bhakti yoga invita il cuore a risvegliarsi pienamente, reindirizzando l’amore che spesso riversiamo sul mondo—su persone, oggetti o successi—verso Dio. In questo cammino, il divino non è un’essenza astratta con cui fondersi, ma un essere personale da adorare con profondo affetto. Proprio come nel Cristianesimo, Dio è qui visto come l’Amato—distinto dal sé, ma intimamente presente e reattivo. Lo scopo della bhakti è coltivare un amore puro e disinteressato per Dio, amare non per ricompensa o paura, ma per amore stesso. Quando questo amore cresce, gli attaccamenti e le distrazioni del mondo perdono presa, e il cuore si centra sull’Eterno.
Questa trasformazione è splendidamente illustrata nella storia di Tulsidas, un poeta-santo il cui amore intenso per la moglie si trasformò col tempo in una devozione incrollabile per il Signore Rama. Attraverso desiderio, dolore e risveglio interiore, arrivò a vedere nella moglie il divino che cercava veramente. La sua storia riflette il tema centrale della bhakti: il reindirizzamento dell’amore mondano verso la sorgente divina dietro tutto ciò che amiamo.
Per nutrire questa devozione, l’induismo utilizza una ricca tradizione di miti, simboli e rituali. Questi non sono tradizioni vuote, ma strumenti viventi pensati per aiutare il devoto a ricordare Dio e avvicinarsi a Lui. Risvegliano le emozioni, stimolano l’immaginazione e mantengono il divino sempre presente nel cuore e nella mente.
Tra le pratiche centrali c’è il japam, la ripetizione del nome di Dio. Ripetere nomi come “Rama”, “Krishna” o “Gesù” durante la giornata ancora la mente alla presenza di Dio. È un modo per chiamare l’Amato, per invitare costantemente Dio nella propria coscienza e nel proprio affetto.
Il bhakti yoga abbraccia anche diversi modi d’amare—ognuno riflettente un diverso tipo di relazione che l’anima può avere con Dio. Alcuni si rivolgono a Dio come un bambino a un genitore, pieni di fiducia e dipendenza. Altri vedono Dio come un amico, un confidente, o anche come un amante. Altri ancora servono Dio come un devoto servitore verso il suo maestro. Ogni modalità riflette un temperamento spirituale unico e offre una connessione profondamente personale con il divino.
Centrale in questa relazione è l’ishta devata—la forma scelta di Dio. I devoti spesso selezionano una specifica manifestazione del divino, come Rama, Krishna, Shiva o la Madre Divina, su cui concentrare il loro amore e culto. Per alcuni, anche Cristo può ricoprire questo ruolo. Queste forme divine non sono viste come dei separati, ma come finestre sull’Unica Realtà, modellate in una forma che il cuore possa comprendere e abbracciare.
Attraverso la preghiera, il canto, il racconto, il rito e il ricordo quotidiano, il bhakti yoga trasforma il rapporto del cercatore con la vita stessa. Il mondo diventa un riflesso del divino, e ogni atto d’amore diventa un atto di adorazione. Lo scopo finale è l’unione con Dio—non dissolvendo il sé in un assoluto senza forma, ma abbandonandolo interamente per amore.
Karma Yoga: La Via verso Dio attraverso il Lavoro
Il karma yoga, la via verso Dio attraverso il lavoro, è adatta a coloro che sono inclini all’azione. Il corpo umano è fatto per l’attività: i nostri organi, i sistemi e l’energia convergono tutti nel movimento. Il lavoro non è solo una necessità per la sopravvivenza; soddisfa anche un profondo bisogno psicologico. Le persone diventano irritabili senza di esso e si spengono nell’inattività forzata. L’induismo accoglie questa realtà, insegnando che non è necessario ritirarsi dal mondo per trovare Dio: la realizzazione divina può avvenire nel cuore della vita quotidiana.
Il segreto sta nel trasformare il lavoro in un percorso spirituale. Questo può avvenire in due modi, a seconda della natura dell’individuo: emotivamente, attraverso la bhakti (servizio devoto), o intellettualmente, attraverso la jnana (conoscenza). Entrambi mirano a trascendere il sé. Ogni azione ci cambia: se è egoistica, rafforza l’ego; se è altruistica, lo dissolve e ci avvicina a Dio.
Chi è portato per la via emotiva dedica il proprio lavoro a Dio, distaccandosi dai risultati personali. Si vede come uno strumento, agendo per amore e abbandono. Ogni compito diventa un’offerta sacra. La Bhagavad-Gita esorta: “Qualunque cosa tu faccia… falla come un’offerta a Me.” La devozione sostituisce l’ambizione, e l’umiltà alleggerisce l’anima.
Chi ha una natura riflessiva segue un approccio diverso. Si distacca dall’ego identificandosi con il Sé eterno, non con il sé finito che agisce. La Gita consiglia: “Hai diritto all’azione, ma non ai frutti di essa.” Il lavoro si compie per se stesso, senza attaccamento ai risultati. Così facendo, l’ego si indebolisce e il vero Sé comincia a emergere.
La storia dello yogi e dello scorpione cattura questo spirito: lo yogi aiuta la creatura ancora e ancora, nonostante le punture—perché aiutare è la sua natura. Anche i karma yogi si concentrano sul compito, con calma e pienezza, poi lo lasciano andare senza attaccamento. Successo o fallimento, lode o biasimo—rimangono saldi.
In definitiva, sia per amore che per conoscenza, il karma yogi mira a indebolire l’ego. Il bhakta cerca l’unione con il Diletto; il jnani cerca di svelare il testimone eterno interiore. Entrambi i percorsi conducono alla stessa verità: al di sotto delle nostre identità superficiali esiste un Sé più profondo, sereno e immutabile, che attende di essere conosciuto.
Raja Yoga: La Via verso Dio attraverso Esercizi Psico-fisici
Il raja yoga, conosciuto in India come la “via regale alla reintegrazione”, è un sentiero verso Dio attraverso un metodo strutturato di sperimentazione psico-fisica. Attrae in particolare chi ha una mentalità scientifica, offrendo un metodo per esplorare le verità spirituali tramite una pratica diretta e ripetibile.
Diversamente dall’Occidente, che spesso diffida dell’esperienza personale nelle questioni spirituali, l’India incoraggia un approccio empirico al mondo interiore. Il raja yoga parte dall’ipotesi che il nostro vero sé sia più profondo e stratificato di quanto normalmente percepiamo. Invita chi ha abbastanza determinazione a testare questa ipotesi attraverso passaggi disciplinati, simili a un esperimento scientifico: se i passaggi non portano risultati, l’ipotesi viene scartata per quell’individuo; ma l’affermazione è che, se seguiti correttamente, portano a una comprensione trasformativa.
Il sé è visto come composto da quattro strati:
- il corpo,
- la mente conscia,
- il subconscio individuale formato dalle esperienze passate,
- e infine un quarto strato, il più profondo: l’Essere puro, infinito ed eterno.
Questo è ciò che il raja yoga cerca di svelare. Questo viaggio interiore richiede il ritiro dalle distrazioni esterne e una dedizione totale all’esplorazione interiore. Lo yogi non cerca solo risposte a problemi personali, ma una connessione con la fonte universale del rinnovamento e della verità.
Il raja yoga si articola in otto stadi:
- Precetti Morali (Parte 1 – Astensioni / Yamas):
Per calmare i disturbi corporei e mentali, si adottano cinque astensioni: dalla violenza, dalla menzogna, dal furto, dalla sensualità e dall’avidità. - Precetti Morali (Parte 2 – Osservanze / Niyamas):
Si coltivano anche cinque osservanze: pulizia, contentezza, autocontrollo, studio e devozione. Queste pratiche preparano lo spirito al lavoro più profondo. - Posture (Asana):
Il corpo deve essere stabile e quieto, libero da disagio o sonnolenza. Una postura equilibrata, come il loto, favorisce l’immobilità e la vigilanza necessarie per la meditazione. - Controllo del Respiro (Pranayama):
La respirazione non addestrata ostacola la concentrazione. Il raja yoga insegna a regolare il respiro per ridurre questi disturbi, puntando a uno schema calmo e regolare che tranquillizzi la mente. - Ritiro dei Sensi (Pratyahara):
Lo yogi deve distogliere l’attenzione dai sensi. Come qualcuno così assorto da non sentire chi parla, il praticante impara a chiudere le “porte della percezione” per rivolgersi completamente verso l’interno. - Concentrazione (Dharana):
Liberata dalle distrazioni esterne, la mente si concentra su un solo oggetto. Ma resiste—corre tra pensieri, sogni e ricordi. La concentrazione insegna alla mente a restare fissa come una fiamma stabile, aumentando potere e chiarezza. - Meditazione (Dhyana):
La concentrazione si approfondisce nella meditazione, dove la mente fluisce senza interruzioni verso l’oggetto. Il senso di separazione tra soggetto e oggetto comincia a dissolversi. - Assorbimento (Samadhi):
Infine, la meditazione culmina nella piena unione—la fusione del sé con l’oggetto. In questo stato, la dualità scompare e lo yogi sperimenta direttamente l’Essere puro.
Praticato correttamente e con guida, il raja yoga promette non solo una profonda conoscenza di sé, ma anche una vera trasformazione—risvegliando uno spirito universale e perfezionato dentro di noi.